Jonas Mekas e Dusan Makavejev, due grandi inventori di cinema

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I Mille Occhi piangono due grandi cineasti moderni, che erano presenze costanti del festival anche se nel fuori campo.
Di Jonas Mekas abbiamo presentato i molteplici documentari-intervista dedicatigli dalla nostra collaboratrice Jackie Raynal.
Makavejev ha partecipato attivamente già ad alcune manifestazioni fondanti del nostro festival, la retrospettiva dell'onda nera jugoslava ad Alpe Adria Cinema e quella balcanica alla Biennale di Venezia.
Alleghiamo il ricordo dedicatogli da Sergio M. Grmek Germani per "Il manifesto" del 26 gennaio.

 

 

 

 

Dušan Makavejev, inventore di cinema nei buchi dell'anima

di Sergio M. Grmek Germani

 

Pochi giorni dopo Jonas Mekas, un altro tra i massimi inventori di cinema vi lascia un vuoto: s'intitolava A Hole in the Soul l'ultimo film che era riuscito a realizzare, nel remoto 1994, e allora quel "buco nell'anima" appariva la più radicale testimonianza del buco lasciato dalle guerre jugoslave non solo sul mappamondo, non solo tra presunti nostalgici jugoslavi, ma nell'anima del mondo. Perché diciamolo: con Alain Resnais, Vittorio De Seta e John Boorman (che per la stessa serie dell'ultimo Makavejev, Director's Place, realizzò uno dei suoi film più personali) Makavejev, nato a Belgrado nel 1932, fu il massimo reinventore junghiano del cinema, qui come altrove senza dogmatismi, unendo appunto Jung a Freud, Wilhelm Reich e Karl Marx.

Dopo quel bellissimo mediometraggio non è che Makavejev fosse scomparso: non riusciva a concludere dei film ma inventava ancora il cinema. Tra i suoi progetti non realizzati perché per tutti i festival e i produttori intercettati appariva troppo costoso, c'era quello di riprodurre in foto giganti ciascun fotogramma del suo stupendo Sweet Movie (1974) e montare questa pellicola fatta di fermi-immagine corrispondenti alla totalità dei fotogrammi in qualche paesaggio urbano reale. Ce lo propose anche per Venezia, e sarebbe stato un percorso stupendo, quando con Mila Lazić lo coinvolsi come supervisore della retrospettiva balcanica per La Biennale. Il cittadino del mondo (o meglio, fantascientificamente, dei mondi) era l'interlocutore perfetto (con Gianikian e Ricci Lucchi di cui per l'occasione producemmo Inventario balcanico) di un post-mondo cinematografico con cui volemmo reagire alla logica della distruzione.

Al prossimo Fest di Belgrado, in febbraio, verrà reso omaggio a Makavejev con un premio postumo e con l'anteprima di un documentario dedicatogli da Goran Radovanović. L'evento era previsto da tempo, sapendo che sempre più Makavejev, colpito da un feroce Alzheimer, stava perdendo la memoria, e ormai riusciva a riconoscere solo la compagna e collaboratrice Bojana Marijan. Qualche giorno fa Želimir Žilnik, venuto a Trieste e a Roma col suo magnifico Das schönste Land der Welt, ci ha parlato della sua recente visita a casa Makavejev, dove questi, pur non riconoscendolo, si confermò rabdomante oltre il reale, dicendo a Bojana: "cosa mi racconta questo di essere Žilnik, quando so che Žilnik vive in Africa?".

In pochi altri cineasti c'è una tale distanza tra numero di opere realizzate (contrariamente a Žilnik, che gira continuamente) e presenza costante nel cuore del cinema. Come nei cineasti che massimamente l'avevano improntato, lui che aveva un ramo russo nelle origini, appunto i sovierici Dziga Verov e Medvedkin. Ma forse meno dichiaratamente anche Dreyer, dacché il risveglio dalla morte finale di Sweet Movie è tra i massimi sviluppi nel cinema del film a cui è impossibile non riferirsi per ogni cineasta vero, appunto Ordet.

I suoi primi lungometraggi degli anni 60 (dopo i cortometraggi collegati col Kino klub Beograd che coinvolse Živojin Pavlović, Kokan Rakonjac e altri grandi) arrivarono in Italia per merito della Mostra del nuovo cinema di Pesaro, e dal secondo trovarono anche marginali distribuzioni: non ancora L'uomo non è un uccello ma il successivo Un affare di cuore e poi Verginità indifesa, uno dei massimi film del 1968. Il primo e il secondo film contengono nel titolo o nel sottotitolo originali un riferimento all'amore, che di tutto il suo cinema è stato il motore.

Dopo questo trittico, che è anche tra i più geniali "superamenti" (insieme a Pavlović) del neorealismo di Rossellini, tradotto in ossessione buñueliana, Makavejev realizza tra 1971 e 1974 un dittico, WR o i misteri dell'organismo e il citato Sweet Movie, che resteranno tra le vette degli anni 70. Non a caso Coppola fu tentato di affidargli la regia di Apocalypse Now, altra tappa del cinema mai compiutosi nella filmografia di Makavejev. Quel dittico fu dileggiato da tutte le censure: quella italiana rifiutò definitivamente il visto al primo film per punire la distribuzione PEA di Ultimo tango a Parigi e fu "costretta" ad accettare il secondo (con tutta la trafila di sequestri e dissequestri) in quanto interessantemente edito in versione italiana da Pasolini (come si intuisce da ciò, Makavejev "riguarda l'Italia" anche prima di essere stato chiamato dallo scrivente alla rassegna triestina sull'onda nera jugoslava o a quella veneziana sui Balcani; non riuscimmo purtroppo a dedicargli una personale nell'anno in cui Roberto Turigliatto decadde dalla condirezione a Torino). Ci fu poi la stupida censura jugoslava che lo liquidò come provocatore anziché come rivelatore del socialismo. E ad esse si aggiunse la censura critica del momento di massimi fraintemdimenti dei "Cahiers du cinéma", che giunsero a trattarlo da "fallocrate" e liquidarono WR come film "anticomunista, antimarxista, antifreudiano, incredibilmente stupido", aggettivi tutti da ritorcere su chi li emise.

Negli anni 80, prima del mediometraggio finale su cui abbiamo aperto questo ricordo, egli realizzò ancora Montenegro tango, Coca Cola Kid, Manifesto e Gorilla Baths at Noon, che all'uscita colpirono meno dei precedenti ma che oggi, ne siamo certi, si imporrebbero tutti (anche quello omonimo di questo giornale) come grandi film da riscoprire.

Tutta l'opera di Makavejev è essenzialmente cinema prima di rinchiudersi in film: ma i film che oggi ce ne rimangono sono infiniti, e potrebbero essere svolti in fermi-immagine. Gli spettatori di una sua personale (o di una sua integrale in dvd, che da tempo Ripley's progetta) vi scopriranno il buco nell'anima che il vero grande cinema sa di non poter colmare, ma che sa rivelare.  

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