La rosa rossa
Ore 16.30
Premio Anno uno. Franco Giraldi, un maestro del cinema europeo dietro l'angolo
La rosa rossa Franco Giraldi, 1973, 93'.
Regia: Franco Giraldi; soggetto: dal ro- manzo di Pier Antonio Quarantotti Gambini; sceneggiatura: Dante Guardamagna, F. Giraldi; fotografia: Mar- cello Masciocchi; montaggio: Giuseppe Giacobino; musica: Luis Bacalov; inter- preti: Alain Cuny, Elisa Cegani, Giampiero Battistella, Giampiero Albertini, Susanna Martinkova; produzione: CEP/ RAI; origine: Italia, 1973; formato: 35mm, col.; durata: 93'. Copia 35mm da Cineteca del Friuli (deposito Franco Giraldi).
La storia si snoda nel periodo tra le due guerre. In un paese friulano fa ritorno un nobile ufficiale, partito trent'anni prima. Assieme a lui ricompaiono molti ricordi: primo fra tutti quello di una rosa rossa che un'ignota innamorata poneva tutti i giorni nella sua camera. Il gesto si ripete e l'uomo muore. Nessuno riesce ancora a capire chi sia la misteriosa ammiratrice.
«Poche settimane prima della sua morte prematura, in una poesia datata 9 marzo 1965 e inserita nella raccolta postuma Al sole e al vento, Pier Antonio Quarantotti Gambini rivisitava personaggi e ambienti del suo romanzo giovanile La rosa rossa [...]. Proprio in quei giorni usciva la quinta edizione del libro, che aveva già trent'anni di vita ed era ormai considerato la più alta testimonianza letteraria sulla società della provincia istriana spazzata via dalla furia di due guerre mondiali. Il film La rosa rossa si propone appunto come illustrazione e meditazione della pagina di Quarantotti Gambini, "che fa risuscitar certe atmosfere/istriane dell'ultimo Ottocento/ (venivano dal Sette, e al Novecento/ giungevan, quanto lievi!)..." (è ancora il commento poetico dell'Autore). Finora romanzi come L'onda dell'incrociatore e La calda vita, benché affidati a registi di prestigio, non avevano rispecchiato sullo schermo il mondo poetico dello scrittore istriano. Per La rosa rossa il triestino Franco Giraldi (La bambolona, Cuori solitari) si è avventurato lungo gli itinerari della memoria, ricostruendo la Capodistria di Gambini attraverso le immagini più intatte, architettura e paesaggio, dell'Istria di oggi (la città vecchia di Rovigno, il palazzetto Bembo di Valle, una piazza di Albona, il teatro lirico di Pola). Alain Cuny ha tradotto in austroungarico la sua nobile malinconia di personaggio claudeliano, Battistella ha ritrova ed espresso con mimetica vivacità le radici venete del suo temperamento, Elisa Cegani ha saputo fondere ingenuità e rassegnazione. Attuato nei luoghi deputati, reali e insostituibili, il rito che ha coinvolto gli artefici di questo film non ha un mero valore di pellegrinaggio sentimentale; è anche un modo per riscoprire certi nessi misconosciuti della nostra tradizione con culture apparentemente lontane e diverse. Teneramente provinciale all'apparenza, il discorso di La rosa rossa (libro e film) s'impone in realtà a un livello europeo: è un capitolo della "finis Austriae", un codicillo sul tramonto patetico del mito imperialregio che segnò per il nostro Continente l'inizio della notte più lunga».
Tullio Kezich, Un film europeo, in Mario Di Francesco, Giorgio Guarino, Luciana Tissi (a cura di), La rosa rossa di Franco Giraldi, RAI, Roma, 1974
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