L'angelo bianco

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Mercoledì 23 settembre 2015 ore 9.15 Teatro Miela

 

L'angelo bianco
di Giulio Antamoro, Federico Sinibaldi [e Ettore Giannini], 1943, 85'.

 

«Come in un melodramma, anche la storia della Titanus è segnata da coincidenze, ritorni di fiamma, incontri mancati e improbabili riapparizioni. [...] Fra i soggetti più volte riproposti, merita allora particolare attenzione I figli di nessuno, ricavato da un romanzo di Ruggero Rindi e portato ben quattro volte sullo schermo fra il 1921 e il 1955. [...] Quando nel 1943 la Titanus riuscirà finalmente a realizzare un nuovo adattamento del romanzo, il titolo sarà cambiato ne L'angelo bianco e la trama stessa subirà modifiche a dir poco radicali. [...] Scomparsa la componente storica e annullata la critica sociale, il film si concentra allora sull'altra anima del romanzo, esaltandone la dimensione mistica. Il regista Giulio Antamoro, già autore di un Christus (1916) [...], forza anzi la mano sulla componente cristologica, arrivando a ribattezzare Luisa con il nome di Maria, mentre il figlio diventa addirittura Cristino. Il racconto si sviluppa così innanzitutto come un apologo sull'accettazione del proprio destino, sulla rassegnazione come unica via verso l'espiazione, e il tema del Fato si traduce in una serie di immagini ricorrenti, creando quasi dei refrain visivi. Da un lato troviamo infatti il motivo dell'acqua che scorre inarrestabile, sottolineato nelle sequenze di umile vita contadina (il mulino), ma anche nella scena del tentato suicidio (le cascate), in quelle di espiazione (il mare che Suor Francesca attraversa come missionaria) e nel tragico finale (dove il mulino sostituisce la cava). L'altro stilema rivelatore consiste invece nel sistematico ricorso a inserti scritti (lettere, insegne, telegrammi, certificati), che scandiscono ellitticamente il racconto e mettono ogni volta i personaggi davanti ai termini inappellabili del proprio destino (nascita, disgrazia, morte): come nel cinema di Carl Theodor Dreyer, la parola scritta rimanda in questo senso al libro per eccellenza, la Bibbia, e quindi a un volere superiore, cui i personaggi in questo caso non possono far altro che rassegnarsi, guadagnando così uno spessore mistico che finisce per essere la loro unica forma di salvezza».

 

Simone Starace, Tutti i figli di nessuno, in Sergio M. Germani, S. Starace, Roberto Turigliatto, Titanus. Cronaca familiare del cinema italiano, Centro Sperimentale di Cinematografia/Sabinae, Roma, 2015 

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