Le scarpe al sole

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Domenica 20 settembre 2015 Teatro Miela ore 9.15

 

LE SCARPE AL SOLE

Regia: Marco Elter, 1935

Nel 1915 tre montanari dello stesso paese alpino - un veterano della guerra libica e due giovani, di cui uno appena sposato, vengono chiamati negli Alpini quando l'Italia entra nel conflitto mondiale. Saranno protagonisti di drammatici avvenimenti tra assalti, ritirate, vita di trincea. Il vecchio reduce della guerra africana perirà da eroe, nel tentativo di difendere il proprio villaggio dagli austriaci dopo Caporetto. Gli altri due torneranno, dopo la vittoriosa battaglia, alle loro case per raccontare i drammatici avvenimenti vissuti.



«La guerra alpina, la nostra guerra alpina, dall'Adamello alla Conca di Piezzo. Tema altissimo, da far tremare i polsi a qualsiasi regista. Una guerra combattuta nel regno dei falchi e delle aquile, con le picozze talvolta più utili del fucile, con le corde talvolta più necessarie della baionetta. Teleferiche distese su abissi, ricoveri in caverne ricavate da pareti a picco, tende che avevano per muricciolo blocchi di ghiaccio; corvées inenarrabili per far giungere ai tremila, ai tremilacinquecento ciò che è indispensabile alla vita dell'uomo [...]. È lo spirito alpino: generoso e testardo, borbottone ed eroico, saldo come la presa del rampone sul ghiaccio, indomabile come l'ululare della tormenta. Uno spirito che dell'"arrangiarsi" ha fatto la sua legge più vera; ed è un "arrangiarsi" di fronte a pareti e a crepacci, a seracchi e a valanghe [...]. Interpretare su di uno schermo la guerra alpina, lo spirito alpino, è tema degno d'un altissimo artista, che tale vita e tale spirito abbia intimamente compresi, e che sappia poi esprimerli con la sua inconfondibile arte. Sia data quindi lode a Paolo Monelli e Marco Elter per aver affrontato la nobilissima impresa. Essi avrebbero potuto scegliere uno fra i mille episodi salienti di quella guerra, dalla conquista del Monte Nero a quella del Col di Lana, [...] ma ciò è stato deliberatamente evitato dal soggettista e dal regista del film, i quali non hanno voluto mostrarci un dramma in crescendo, incoronato poi da una sua apoteosi, nella luce che consacra gli eroi. [...] Non quindi una trama troppo evidente, non crudezza realistica, non brani arieggianti al documentario, non la guerra vissuta; ma la guerra come deve apparire talvolta nel ricordo, un ricordo virile, distaccato e sereno; con la raffigurazione simbolica, quasi un ampio affresco senza luci radenti, senza scorci violenti, lontano da ogni maniera più o meno hollywoodiana [...]. Altro è riprendere in istudio, altro è riprendere a tremila metri. L'opera ha il significato che s'è detto, si anima nei due episodi di volontario eroico sacrifico di Bepi e di Durigian, nella morte del giovanetto Marco; ed ha inquadrature assai belle e significative, come nella dissolvenza che alle pubblicazioni di matrimonio sostituisce l'ordine di mobilitazione, nella sequenza della mobilitazione stessa, in alcuni episodi di combattimento, in una serie di esterni, dallo Stelvio alle Dolomiti, dovuti alla sapienza di quell'ottimo tra gli operatori che è Terzano».

Mario Gromo, Il successo di Scarpe al sole, «La Stampa», 22 agosto 1935 

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