I Mille Occhi su Galatea

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Riportiamo l'articolo del nostro direttore Sergio M. Germani su Galatea rivista ticinese diretta da Piero del Giudice.

Si è trasformata nel tempo l'idea della forma festival. Nata all'inizio degli anni ‘30 a Venezia, raccoglieva i modelli di fiere ed esposizioni universali, rivolgendosi innanzitutto ai professionisti (produttori, registi, giornalisti), con la necessaria benedizione del potere politico. C'era ovviamente anche un pubblico ma piuttosto di invitati o occasionali curiosi. I grandi festival internazionali affermatisi nel secondo dopoguerra (Venezia, Cannes, Locarno, Berlino...) hanno coinvolto un pubblico sempre più largo, al punto che di recente i ‘bollettini' a fine festival segnalano sopratutto dei numeri (biglietti e abbonamenti venduti) con un cortocircuito rispetto agli ‘echi' (capacità di intercettare film che avranno successo e magari qualche premio Oscar). Questo modello di grande festival generalista, che ovviamente ha il pregio di concentrare in un breve periodo tante cose da vedere e tante persone da incontrare, si è lasciato alle spalle l'idea che il maggior teorico del cinema, André Bazin, ebbe l'intelligenza di formulare negli anni '50, quella del festival come laico ordine monastico in cui delle persone intensamente motivate trovavano occasione di confronto sulle passioni. Non una norma dogmatica, Bazin stesso avrebbe auspicato l'allargamento al pubblico, ma di quell'idea la fertilità va recuperata. Era un momento in cui i primi storici del cinema e le nascenti cineteche tendevano a iperselezionare gli oggetti degni di attenzione. Henri Langlois dirà con acutezza (riferendosi alle scelte critiche di Brasillach) che il cinema allora era così ricco che ci si poteva permettere di ignorarne molti tesori. Rispetto a critici anche di grande personalità (in Francia, in Italia e altrove) si dovette arrivare a uno sguardo basato su una vera comprensione di "che cos'è il cinema" con la "olitica degli autori" tra anni ‘50 e ‘60 (nei Cahiers du cinéma ma in dialettica con il ‘positivismo' di Positif) che attraverso scelte anche contrastanti approderà alle geniali scelte cinefile di Présence du cinéma. Tutto ciò è oggi patrimonio imprescindibile, ma il bisogno di estendere le attenzioni a tanto cinema rimasto inosservato anche da parte dei maestri della critica non è certo eclettismo o sola acribia di studio. Perciò appare necessario superare il recinto che i festival maggiori pongono tra cinema del presente e opere del passato, pur dedicandosi alla ‘arte cinematografica' oggi il cinema già appartiene (come anticipò Rohmer critico) a un universo di arti con molti scambi. I festival medi e piccoli ritengono di dover dare un senso alla propria individualità con delle specializzazioni (territoriali, di genere ecc.). Costituendosi nel 2001 a Trieste, l'Associazione ‘Anno uno' (con chiaro inchino al film più maltrattato di uno dei massimi cineasti, Roberto Rossellini) varò un festival altrettanto ‘generalista' dei maggiori ma che coltivasse la tendenza di riscoperte da fare con il pubblico e, nello stesso nome prescelto, (I mille occhi) si volle indicare la molteplicità di sguardi che il cinema contiene e che la molteplicità di spettatori può godere di moltiplicare. Lo scrivente, che da 14 edizioni lo dirige, partì da rassegne ospitate da altri festival e da un numero zero come "L'unica grande passione" (adesione paradossale a una frase dell'altro massimo cineasta, Dreyer) cercando di trovare, con collaboratori sempre più estesi, una concentrazione di proposte intrecciate, non di eventi staccati seppur coesistenti.

Il cinema, arte del reale, rivela di incontrarsi con tutti i campi della vita, e così da anni, senza attendere anniversari, si percorre la riscoperta di opere riferite alla grande guerra, quest'anno persino nell'involontaria duttilità di un film di propaganda fascista come Camicia nera che diventa beffardo e acuto rivelatore della sconfitta dell'Internazionale. E come in passato per Franco Basaglia, Diego de Henriquez e lo stendhaliano Bruno Pincherle, quest'anno si rende protagonista l'anarchico triestino Umberto Tommasini. Tra riferimenti ‘locali' e presenze internazionali (dal premio al portoghese Vítor Gonçalves a Niki de Saint Phalle) l'unità è nella molteplicità di sguardi che la forma festival accoglie e incoraggia.

(Sergio M. Germani)

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