Rivette Jacques
È nato a Rouen, in Francia, nel 1928. Regista e critico è stato uno degli esponenti di punta della Nouvelle Vague teorica e produttiva.
Figlio di un farmacista e precoce appassionato di cinema, a diciassette anni dirige un cineclub a Rouen. Nel 1949 si trasferisce a Parigi e frequenta assiduamente lo Studio Parnasse, il Cineclub du Quartier Latin e la celeberrima Cinémathèque. Qui conosce François Truffaut e Jean-Luc Godard; poi anche Eric Rohmer, André Bazin e Suzanne Schiffman.
Inizia la carriera come critico cinematografico, scrivendo sulla «Gazette du Cinéma» insieme a Rohmer e Godard. Nel 1953 passa ai «Cahiers du cinéma», diventandone caporedattore dieci anni dopo, nel 1963, e per due anni consecutivi, fino al 1965. Diventa aiuto montatore di Jean Mitry, poi aiuto regista di Jacques Becker. Fa il montatore anche per Rohmer, per un cortometraggio girato in 16mm. È anche attore, in Le Beau Serge di Claude Chabrol. Sono anni di fermento e di ricchissima, variegata attività. Anni irripetibili che si concludono con l’esordio alla regia, nel 1956, con Le Coup de berger. Due anni dopo, nel 1958, inizia le riprese di Paris nous appartient, che riuscirà a terminare soltanto nel 1960.
Rivette si divide fra cinema e teatro, adattando di volta in volta le stesse opere per i due diversi media: è il caso di La Religieuse (1966), tratto da Denis Diderot e scritto prima per il teatro e poi trasposto su pellicola. Un film di successo ma anche un’opera aspramente “critica” e censurata.
Le sue tematiche predilette tornano di opera in opera: la sensualità della finzione nei confronti della tetra e geometrica realtà, realtà appunto da indagare nell’ambiguità delle sue forme; il tema dell’amore di coppia e le riflessioni esistenziali ad esso legate. La sua poetica è incline al pedinamento ossessivo del reale, nel tentativo di mappare il suo caos interno e, di tanto in tanto, di trovare luci, barbagli, illuminazioni ed epifanie. Non di rado le sue opere superano le tre o perfino le quattro ore di durata, con plot peraltro scarni ed esigui. Nel 1968 realizza L’Amour fou e nel 1970 Out one.
Nel 1974 comincia una tetralogia apparentemente del mistero, in cui il suo cinema interseca l’analisi di interiorità inquiete e omaggia, di fatto, le opere di Jacques Tourneur: è il caso di Céline et Julie vont en bateau, seguito nel 1976 dal dittico sospeso fra sogno e fiaba composto da Duelle e Noroit.
I suoi film più recenti sono Va savoir (2001), Histoire de Marie et Julien (2003) e Ne touchez pas la hache (2007).
Born 1928 in Rouen, France. A director and critic, he was one of the chief exponents of the theoretical and practical French New Wave.
Son of a pharmacist and a precocious lover of film, at age 18 he ran the Rouen film club. In 1949 he moved to Paris and attended with much devotion the Studio Parnasse, the Ciné-Club du Quartier Latin, and the famous Cinémathèque. He first befriended François Truffaut as Jean-Luc Godard, and later Eric Rohmer, André Bazin, and Suzanne Schiffman.
He began his career as a film critic, writing for the Gazette du Cinéma with Rohmer and Godard. In 1953 he moved on to the Cahiers du cinéma, becoming editor-in-chief ten years later in 1963, and for two more years, until 1965. He became assistant editor to Jean Mitry, and afterwards assistant director to Jacques Becker. He edited Rohmer’s short film, shot in 16 mm. He also acted in Claude Chabrol’s Le Beau Serge. These were years of ferment and incredibly rich and varied activity. Unrepeatable years that ended with his directorial debut in 1956, Le Coup de berger. Two years later, in 1958, he began to shoot Paris nous appartient, a film that he managed to complete only in 1960.
He divided his time between film and theater, often adapting the same work to both media: such as with La Religieuse (1966), based on Denis Diderot and written first for the theater and later adapted to the screen. A successful film, though harshly criticized and censured.
His favorite themes appear throughout his work: the sensuality of invention in comparison to logical and dismal reality; the investigation of the ambiguous forms of such a reality; the love between two people and the associated existential meditations. His poetics are inclined towards the obsessive shadowing of reality, in an attempt to map his inner chaos and, on occasion, to find lights, flashes, illuminations, and epiphanies. His works are often three, or even four hours long, with a plot that is bare and minimal. In 1968 he directed L’Amour fou and in 1970 Out one. In 1974 he began a tetralogy apparently about mystery, in which his cinema intersects the study of restless spirituality and pays homage to the works of Jacques Tourneur: such is in Céline et Julie vont en bateau, followed in 1976 by the diptych, suspended somewhere between dream and fairy tale, of Duelle and Noroit.
His most recent films are Va savoir (2001), Histoire de Marie et Julien (2003) and Ne touchez pas la hache (2007).
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