Premio Announo
La meravigliosa Djin Sganzerla che s'immerge, uccidendosi, nelle acque, con la sua immagine che si sdoppia, è, dal 1932, il momento del cinema più intensamente collegato col Vampyr di Dreyer, con il suo protagonista sdoppiantesi nella morte e contro essa, con l'orizzonte acquatico come riva di Caronte che non si vuole attraversare. Dreyer perse la sua lotta (impari? o non è impari la “realtà” attorno che dovrebbe condividere quella lotta?) contro il nazismo affermantesi. Il capolavoro di Helena Ignez, opera prima che ha già la forza necessaria dei film irrinunciabili, di una cineasta che ha già partecipato (da attrice e complice di creazione) a alcuni dei più bei film brasiliani, trova nel 1919 l'anno in cui si concentrano l'eclissi sul Brasile, l'invenzione della teoria della relatività e la scrittura del Baal di Brecht: insomma l'anno del nostro presente novant'anni dopo. Le tre protagoniste femminili del film (Beth Goulart e Simone Spaladore, insieme a Djin creatura ulteriore dell'arte sganzerlo-igneziana) vivono un sacrificio imposto e ingiusto, cui lo spettatore è chiamato a ribellarsi per aver ragione di esistere. Le lacrime di Beth scalza, il suicidarsi di Djin nuda, il nuotare verso acque infinite di Simone statuaria sono, nella tenerezza e bellezza di presenze di cui non ci vorremmo privare, tra le immagini per cui non ci sentiamo inutili come spettatori. Questo film, che Palme, Leoni, Orsi e Pardi avrebbero dovuto contendersi, si è concesso al Premio Anno uno come un dono impagabile.
Associazione Anno uno
Since 1932, the marvelous Djin Sganzerla emerging, killing himself, his splitting image in the water, has been the cinematographic moment most intensely connected to Dreyer’s Vampyr. A doppelganger protagonist in death and against it, with the aquatic horizon like the Charon shoreline that we don’t want to cross. Dreyer lost his struggle (was is enough? or wasn’t the surrounding “reality” that should have partook in that struggle enough?) against rising Nazism. Helena Ignez’s masterpiece, a first film that already has the necessary strength of a fundamental film from a filmmaker that has already participated (both as an actress and a creative accomplice) in a few of the most beautiful Brazilian films, in 1919 found the year in which the eclipse over Brazil concentrated, the invention of the theory of relativity and the composition of Brecht’s Baal: the year of our present 90 years later. The film’s three female protagonists (Beth Goulart and Simone Spaladore, together with Djin, a meta-cinematographic Sganzerlian-Ignezian creature) live through an imposed and unjust sacrifice that the spectator is called to rebel against to have a reason to exist. Beth’s barefooted tears, Djin’s nude suicide, swimming toward the infinite waters of Simone statuary are, in tenderness and beauty of their presence that we don’t want to take away, among the images that we don’t feel useless as spectators for. This film, that Palms, Lions, Bears and Leopards should have competed for, is a priceless gift for the Association Anno uno.
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