Folgorati da Gianvito
Folgorati da Gianvito
Sarà un aggettivo forte ma “folgorato”, così si è detto Olaf Möller, membro del comitato artistico dei Mille Occhi, dopo aver visto per la prima volta “The Mad Songs of Fernanda Hussein”, lungometraggio datato 1990 del cineasta americano John Gianvito. Un apprezzamento pieno ed appropriato, fatto da uno dei suoi massimi “scopritori”, per introdurre la prima personale italiana di questo cineasta di Boston che stiamo imparando a conoscere ed amare.
Gianvito, appena rientrato dagli studi Rai da una diretta radiofonica, si è detto felice per il tributo dedicatogli dal festival e grato per l’occasione offertagli di rivedere alcuni film che lui stesso non vede da più di vent’anni. Ha poi introdotto tre suoi cortometraggi, ricordandoli “come punti - fissati con umiltà e sincerità - di un disegno più ampio”.
Il primo ha rappresentato il suo “primo vagito nel mondo del cinema”, una rappresentazione di un breve racconto di Joyce, realizzato senza spese come “student film” e che oggi – ha confidato al pubblico - lo mette in lieve imbarazzo, “tanto da non poter dormire per l’eccessivo azzardo di trasporre un tale scrittore”; il secondo un'opera frutto della collaborazione con una sua amica poetessa, Fanny Howe, realizzato “in estrema economia di mezzi e in formato super 8”. Infine, il cortometraggio realizzato, dopo una gestazione lunga un anno, per un progetto collettivo sull’11 settembre che - ha ricordato il regista - “ha preso forma attorno alla domanda-tormentone che angosciava gli americani in quel momento: perché ci odiano?”.
Gli altri tre corti che hanno completato il programma rientravano "in una selezione - ha sottolineato Gianvito - suggeritami da Olaf Möller, di collaboratori e allievi i cui lavori, anche senza avermi direttamente influenzato, ho estremamente ammirato”. (az, fg).
Trieste, 25.09.08
Sarà un aggettivo forte ma “folgorato”, così si è detto Olaf Möller, membro del comitato artistico dei Mille Occhi, dopo aver visto per la prima volta “The Mad Songs of Fernanda Hussein”, lungometraggio datato 1990 del cineasta americano John Gianvito. Un apprezzamento pieno ed appropriato, fatto da uno dei suoi massimi “scopritori”, per introdurre la prima personale italiana di questo cineasta di Boston che stiamo imparando a conoscere ed amare.
Gianvito, appena rientrato dagli studi Rai da una diretta radiofonica, si è detto felice per il tributo dedicatogli dal festival e grato per l’occasione offertagli di rivedere alcuni film che lui stesso non vede da più di vent’anni. Ha poi introdotto tre suoi cortometraggi, ricordandoli “come punti - fissati con umiltà e sincerità - di un disegno più ampio”.
Il primo ha rappresentato il suo “primo vagito nel mondo del cinema”, una rappresentazione di un breve racconto di Joyce, realizzato senza spese come “student film” e che oggi – ha confidato al pubblico - lo mette in lieve imbarazzo, “tanto da non poter dormire per l’eccessivo azzardo di trasporre un tale scrittore”; il secondo un'opera frutto della collaborazione con una sua amica poetessa, Fanny Howe, realizzato “in estrema economia di mezzi e in formato super 8”. Infine, il cortometraggio realizzato, dopo una gestazione lunga un anno, per un progetto collettivo sull’11 settembre che - ha ricordato il regista - “ha preso forma attorno alla domanda-tormentone che angosciava gli americani in quel momento: perché ci odiano?”.
Gli altri tre corti che hanno completato il programma rientravano "in una selezione - ha sottolineato Gianvito - suggeritami da Olaf Möller, di collaboratori e allievi i cui lavori, anche senza avermi direttamente influenzato, ho estremamente ammirato”. (az, fg).
Trieste, 25.09.08
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