Il festival e le iniziative sulla "grande guerra"
A Trieste Piero Del Giudice ha realizzato al Magazzino delle idee (da cui poi migrerà a Trento) una mostra con bellissimo libro-catalogo, che sono tra le iniziative meno di circostanza tra quelle legate all'anniversario. I mille occhi vi hanno subito riconosciuto una convergenza essenziale con gli sguardi che come festival rivolgiamo da tempo a quell'evento e al suo prolungarsi sul secolo. Sergio M. Germani ne ha scritto con entusiasmo sull'Alias uscito con Il manifesto del 10 gennaio (vedi word dell'articolo in allegato), e il curatore l'ha ora invitato all'incontro che presenta il volume negli spazi dell'esposizione. Siamo lieti di quest'iniziativa in sinergia, che consentirà di meglio precisare il fondamentale apporto del cinema negli sguardi sulle vicende storiche.
Una mostra fondamentale sulla "grande guerra"
di Sergio M. Germani
«Il cuore della questione sono i corpi»: è il netto incipit di Piero Del Giudice al catalogo della mostra L'Europa in guerra. Tracce del secolo breve da lui curata, che fino al 28 febbraio prosegue al Magazzino delle idee di Trieste, per essere ripresa dal 28 marzo al 30 maggio al Castello del Buonconsiglio di Trento. Le province dello storico binomio Trento-Trieste ne sono realizzatrici insieme alla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e (con un inserimento a distanza che nelle vicende di Emilio Lussu, dell'Asinara e del pittore di guerra Giovanni Antioco Mura la mostra rivela nella sua essenziale pertinenza) con la partecipazione della Regione Autonoma della Sardegna. Già questo fa percepire la costruzione "teorica" della mostra, il suo carattere di ricerca preciso e rivelatore. Il catalogo citato è piuttosto un libro tout-court, di 1006 pagine: pubblicato dalle edizioni "e", ben rilegato il che consente alla brossura di reggere alla lettura integrale che il volume merita oltre la consultazione da catalogo. La visita alla mostra, pur ampia, esige infatti di essere completata dalla lettura del volume, in cui sono riprodotti molte più opere e documenti di quanti esposti, con una mai ovvia antologia letteraria, alla quale hanno dato contributi essenziali saggisti e traduttori come Andrea Cortellessa, Valentina Parisi, Eva Banchelli (così come per la parte figurativa hanno collaborato Renato Miracco, Giorgio Casamatti e molti altri), scelta alla quale data la ricchezza di scoperte si possono perdonare alcune ingiustificabili omissioni (i fondamentali seppur conosciuti Kraus e Canetti, il Barrès che significativamente ritorna nel cinema di Straub, e, vista la giusta attenzione dedicata all'estensione balcanica, la totale omissione del suo prolungamento nella mitteleuropa: nulla di Hašek e delle letterature ceca, slovacca e slovena; infine il brutto errore, quasi un lapsus, di datare al 1943 la morte del longevo Ernst Jünger ricalcando chiaramente la data di morte dell'omonimo padre: svista comprensibile su mille pagine con la fretta che la mostra imponeva alla cura redazionale).
L'incipit del curatore dà il segno di come la mostra abbia saputo andare oltre le esitazioni tra evento di documentazione testimoniale e interpretazione antimilitarista. Si è fatto decidere giustamente ai corpi sacrificati e violati dalla guerra (alcune pagine del volume ne recano immagini insostenibili allo sguardo, come già avvenne nei film di Gianikian e Ricci Lucchi). Perciò non esitiamo a considerare questa mostra e il volume che la completa come uno degli atti fondamentali nel rievocare oggi la vicenda storica. Ci sembra particolarmente importante che si sia fatta azione di rilettura storica attraverso le sole opere artistiche, e le vicende di scrittori e pittori. Più ancora del paradigma "da Sarajevo a Sarajevo" (Del Giudice era stato cronista attento delle recenti guerre jugoslave) ci convince il prolungare sul secolo breve le vicende martoriate dei corpi, consentendo di cogliere nelle due guerre mondiali gemelle l'esito industriale del trattamento nazista dei corpi, o il percepire il destino del figlio di Corrado Govoni nel carnaio finale delle Fosse Ardeatine che accolsero anche Emanuele Caracciolo e sono tra le immagini più insostenibili mai riprese dal cinema. Anche il modo in cui si trattano le punte rivoluzionarie (la sovietica e la spartachista) s'inserisce con sensibilità nel documentare gli scritti di resistenza anche anonima, mentre si riservano toni feroci all'interventismo di Papini, d'Annunzio, dei futuristi, e gli incerti solovjeviani russi sono travolti nella consapevolezza dall'umanesimo religioso dei tolstojani e degli steineriani. Giustamente raccolti anche i testi di Bertha von Suttner, che non a caso fu adattata in un film scritto da Dreyer (e più tardi da Harald Braun).
La capacità di scegliere del curatore e dei suoi collaboratori non si preclude la scoperta di artisti che parteciparono alla guerra aderendovi e facendosene nell'opera veri testimoni. L'antologia degli scrittori italiani (da Palazzeschi a Gadda, via Serra, Malaparte, Rebora, Soffici, Tessa, Viviani, Zanzotto e un Saba molto minore) è particolarmente acuta, come i testi di Cortellessa che la chiosano, e al quale si devono anche i più giusti rimandi ai fuori-campi delle arti non trattate, il cinema (si riesce a dire, via Federico De Roberto, dell'ultimo Ermanno Olmi) e la musica (il testo su Cesare Caravaglios è forse il momento più alto del volume).
Trattare anche cinema e musica avrebbe meglio precisato l'attenzione verso le opere figurative e letterarie. E non per completismo ma perché il cinema ha saputo essere come sempre l'arte dei corpi per eccellenza. Si accenna soltanto nel volume al rapporto tra l'opera pittorica di Giulio Aristide Sartorio e le foto e i film di Luca Comerio su cui si è talvolta ricalcata. Anche se a Sartorio sono già state dedicate mostre (una a Udine qualche anno fa) bisognerà attendere le prossime Giornate del cinema muto di Pordenone per sviscerare quel rapporto, in occasione della personale Comerio in preparazione.
Il cinema era stato negli anni '30 il più perspicace rivelatore della continuità tra prima e seconda guerra mondiale, proprio perché il suo rapporto con il tempo sapeva coniugarsi con il rapporto di adesione ai corpi. Ha lasciato inoltre immagini che anche ove originate dalla propaganda (come appunto in Comerio e in Gloria. Apoteosi del Soldato Ignoto che diventa il più feroce sguardo dei morti sui vivi, o in Francia con Feuillade e Poirier) sono le tracce imprescindibili di un persistere "dreyeriano" del corpo oltre la distruzione della storia. La sequenza comeriana di Dentro la trincea in cui soldati "ancora vivi" passano sotto il cimitero di Gorizia è probabilmente l'immagine definitiva della guerra, e il "passar oltre" del sublime Paisà di Rossellini ne sarà il voluto rovesciamento. Cineasti come Oxilia, Camerini, Genina e infine Poggioli, Cottafavi, Matarazzo, Bianchi (visti a Bologna e ai Mille occhi) sono pietre miliari di un viaggio nel vissuto storico, e consentono di ricostruire vicende come il ruolo di Cadorna, l'incidersi della grande guerra nelle imprese africane e le significative mutazioni della canzone Giovinezza. E anche oggi l'atto più alto sulla prima guerra mondiale ci si rivela un film, quel Torneranno i prati che in troppi trattano con neutro rispetto mentre il capolavoro di Olmi è l'atto più radicale possibile sulle distruzioni della storia, in cui si va oltre Jünger nel cogliere la guerra come riscrittrice della natura, e oltre Freud quando le parole del soldato, dettate dall'universo della distruzione, concludono nella disillusione sulla natura del femminile.
Beninteso, di tutto questo si può dire in circostanze diverse, ma una mostra epocale come quella curata da Del Giudice se ne sarebbe ulteriormente rafforzata. L'opera del disegnatore Scalarini, così ben documentata nella mostra, lascia per esempio traccia nel segno grafico di Augusto Camerini, fratello di Mario e marginalmente egli stesso cineasta.
Questa mostra con il parallelo volume rimane tuttavia, con il suo saper fare storia attraverso l'arte, un modello da cui partire nelle iniziative che continueranno a riguardare la prima guerra mondiale. Potrebbe impararvi qualcosa anche il triestino Museo di guerra Diego De Henriquez, una raccolta unica al mondo, oggi offerta dal Comune di Trieste in un allestimento appena corretto, incapace di cogliere la radicalità utopica del "folle" creatore (che non a caso voleva anche il cinema nelle sue collezioni). Purtroppo oggi, in un pauroso atto di oblio, si giunge a ignorare una figura come Sergio Lanza, che della raccolta di Henriquez divenne non solo custode ma vaso delle sue parole che, degne dell'«inutile strage» di papale memoria, tuttora ci risuonano: «la prima grande carneficina... la seconda grande carneficina». Perché chi si occupa di guerre di questo parla: corpi, carne e sangue.
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