Anteprima di Roma
Anteprima del festival I MILLE OCCHI al Cinema Trevi -11 e 12 settembre
Undicesima edizione del festival (Trieste, 14-20 settembre 2012), e per la terza volta (dopo l'interruzione obbligata per chiusura sala dell'anno scorso) con un'anteprima al Trevi, che sottolinea la partnership con CSC-Cineteca Nazionale oltre a quella con La Cineteca del Friuli, che con l'Associazione Anno uno realizza il festival. Ci fa molto piacere raccogliere una sintonia con chi, attraverso una programmazione quotidiana, riscopre il cinema del passato per il pubblico di oggi, come è giusto che sia per la sala del maggior archivio italiano. "I mille occhi - Festival internazionale del cinema e delle arti" si ostinano a credere che i tesori della storia del cinema (in primis quello italiano) siano troppo importanti per esser trattati solo da storici, studiosi e studenti di cinema. La sfida del cinema, di far rivivere a ogni proiezione ciò che è stato filmato (ma anche i suoi fuori campi), diventa un imperativo per l'evento festival, e perciò crediamo vi si debba superare la sterile distanza tra novità cinematografiche e cosiddette retrospettive. Anche se chi scrive è fiero delle retrospettive realizzate nel proprio curriculum pluridecennale, "I mille occhi" sono nati per andare oltre questa separatezza dentro l'evento festivaliero. Perciò mescoliamo opere del passato e del presente, e l'unico premio che assegnamo va ogni anno a un regista per l'insieme dell'opera ma con particolare sottolineatura di un film (più o meno) recente: quest'anno il premio "Anno uno" va al cineasta franco-tunisino di origini ebraico-italiane Marc Scialom, con la proiezione in anteprima europea di un suo film incredibilmente regalato ai "Mille occhi" da chi non se n'era accorto. Un'altra performance del festival è la personale Zurlini che, giungendo nel trentennale della morte, si presenta come la più completa "retrospettiva" del regista sin qui realizzata; eppure ci teniamo che non si chiuda a retrospettiva, ma scopra un cineasta fertile, i cui molti progetti non realizzati non sono maledizioni di un cinema impossibile (in quell'Hiroshima produttiva che il cupo Zurlini degli ultimi anni indicava nel cinema italiano) bensì sottolineature oltre l'immagine di quei picchi di cinema quali oggi ci appaiono i suoi film realizzati, e sempre più si rivelano tali a ogni inquadratura, smentendo perfezionismi di superficie a favore di una tensione di controllo coniugata con una pulsionalità permanente. Queste zone monografiche si caleranno a Trieste (insieme ad altre: l'omaggio a Giuseppe Fava cineasta, in collaborazione con Nomadica e Fuori orario; la personale di Lia Franca stella della rinascita del cinema italiano, in collaborazione con la Ripley's; gli omaggi a Stephen Dwoskin e Breda Beban) in un programma di "convergenze parallele" e liberi percorsi, come la rassegna "Expanded Dreyer", dove in un faro del cinema che la doxa storiografica condannava a eccezione si scopre invece un ispiratore espanso, nel tema antisacrificale che certo cinema italiano minore seppe raccogliere genialmente.
(Sergio Mattiassich Germani)
Martedì 11 settembre
ore 17
Le ragazze di Piazza di Spagna (1952)
Regia: Luciano Emmer; soggetto: Sergio Amidei; sceneggiatura: S. Amidei, Fausto Tozzi, Karin Valde; fotografia: Rodolfo Lombardi; scenografia: Mario Garbuglia; musica: Carlo Innocenzi; montaggio: Jolanda Benvenuti; interpreti: Lucia Bosè, Cosetta Greco, Liliana Bonfatti, Renato Salvatori, Marcello Mastroianni, Eduardo De Filippo; origine: Italia; produzione: Astoria Film; durata: 96'.
Una di quelle "convergenze parallele" in cui il festival volentieri s'avventura: accanto alla personale Zurlini, del quale si vuole riscoprire il film "minore" d'esordio, ecco un altro "labirinto cameriniano" del cinema italiano. Forse questi due film di "ragazze nel paesaggio", l'Emmer e lo Zurlini, sono (come per esempio il dittico che unisce Roma ore 11 di De Santis a Tre storie proibite di Genina) la rivelazione di una distanza infinita dentro un incontro tra passioni: la passione dei due registi verso le presenze femminili del cinema (filtrate da due narratori come Bassani e Pratolini, entrambi marcanti l'opera stessa di Zurlini), che in Emmer è continuamente deviata nei percorsi del set, in Zurlini raccolta verso circolarità impossibili. Vedere i due film insieme sarà come muovere lo sguardo da un dipinto di Leonardo a uno di Raffaello. (S.M.G.)
ore 19
Le ragazze di San Frediano (1954)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto: dall'omonimo romanzo di Vasco Pratolini; sceneggiatura: Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi; fotografia: Gianni Di Venanzo; scenografia: Aristo Ciruzzi; costumi: Marilù Carteny; musica: Mario Zafred; montaggio: Mario Bonotti; interpreti: Antonio Cifariello, Rossana Podestà, Giovanna Ralli, Marcella Mariani, Giulia Rubini, Corinne Calvet; origine: Italia; produzione: Lux Film; durata: 90'.
E' con quest'opera prima, da lui stesso sottovalutata, che Zurlini scopre tutta la sua grandezza: film quasi su commissione che già traccia il suo universo; film che conferma come il cinema italiano fosse rimasto ciclicamente segnato dall'invenzione del giovane Camerini; film accolto da molte sufficienze critiche che per esempio parlavano di cast femminile mediocre di fronte agli occhi di Marcella Mariani, alla tenerezza di Giulia Rubini, alla vitalità sinuosa di Giovanna Ralli, alla giocosità fisica di Rossana Podestà, alla seduzione provocante di Corinne Calvet... per fortuna Zurlini, come il protagonista del film, viveva l'indecidibilità dello sguardo del cinema di fronte all'infinitezza delle presenze che vi irrompono dal reale. (S.M.G.)
ore 21
Il deserto dei tartari (1976)
Regia: Valerio Zurlini; soggetto: André G. Brunelin, Jean-Louis Bertuccelli, dall'omonimo romanzo di Dino Buzzati; sceneggiatura: André G. Brunelin; dialoghi italiani: V. Zurlini; fotografia: Luciano Tovoli; scenografia: Giancarlo Bartolini Salimbeni; musica: Ennio Morricone; montaggio: Kim Arcalli, Raimondo Crociani; interpreti: Jacques Perrin, Vittorio Gassman, Giuliano Gemma, Helmut Griem, Philippe Noiret, Jean-Louis Trintignant; origine: Italia/Francia/Germania; produzione: Cinema Due, Fildebroc, Films de l'Astrophore, F.R.3, Reggane Films, FIDCI, Corona Filmproduktion; durata: 147'.
Dal primo Zurlini all'ultimo, ecco un altro film equivocato: subito ammirato ma come fosse un esercizio voluto, un esame di cinema d'autore. Ed è proprio l'opposto: un film la cui dichiarata attesa (dei tartari...) diventa interrogazione senza fine dell'immagine. Un film il cui set tutto maschile (con Zurlini generale di quell'impossibile esercito che diventa il cast) si sospende tra la figura della madre che evoca la morte-sonno del figlio (tante madri nel cinema di Zurlini, talvolta solo in foto o con doppi di voce) e la figura della distanza con l'amata interpretata dalla compagna reale di Perrin, doppiato qui da Giancarlo Giannini, in un approdo vocale delle sue presenze marcanti nel cinema, nella televisione e nelle regie teatrali di Zurlini. Del film colpisce inoltre il set del paesaggio "lunare" nell'Iran prekhomeinista, così come altrove da Zurlini ci arrivano luoghi oltre il tempo: dalla Jugoslavia di Le soldatesse al Congo laziale di Seduto alla sua destra all'Adriatico dove la guerra precipita nel dopoguerra in Estate violenta. (S.M.G.)
Il film sarà preceduto dagli estratti con Zurlini dal documentario CSC Professione... regista (1978), e dalla presentazione del festival, con il direttore Sergio M. Germani.
Mercoledì 12 settembre
ore 17
La voce del silenzio (1953)
Regia: Georg Wilhelm Pabst; soggetto: Cesare Zavattini; sceneggiatura: G.W. Pabst, Akos Tolnay, Giorgio Prosperi, Jean Cocteau, Pierre Bost, Tullio Pinelli, Giuseppe Berto, Oreste Biancoli, Roland Laudenbach, Pietro Tompkins, Franz F. Treuberg, Bonaventura Tecchi; fotografia: Gabor Pogany; scenografia: Guido Fiorini; musica: Enzo Masetti; montaggio: Eraldo Da Roma; interpreti: Aldo Fabrizi, Jean Marais, Edoardo Cianelli, Frank Villard, Cosetta Greco, Rossana Podestà; origine: Italia/Francia; produzione: Cines/Franco London Film; durata: 105'.
"I mille occhi" sono una fucina cui partecipa l'invenzione di molti critici, collaboratori e appassionati: tra questi Olaf Möller, che per il terzo anno realizza la rassegna "Germania anno zero", con opere rare e affascinanti del cinema tedesco, e che quest'anno raddoppia il riferimento rosselliniano (faro dei fari del festival) con la puntata "Viaggio in Italia", presentando opere di cineasti tedeschi in Italia, da cui si è deciso di includere in quest'anteprima romana tre preziose copie della Cineteca Nazionale. Pabst è un regista esemplare di come certe riconsiderazioni storiografiche si affezionassero al gusto di un ridimensionamento ben miope. Come già Sylvie Pierre, di Pabst scopriamo oggi l'invenzione continua di un talento che era fiero di poter sorprendere se stesso. (S.M.G.)
Il film sarà preceduto da una testimonianza sul proprio primo set cinematografico di Adriana Berselli, già allieva del CSC.
ore 19
Marcia o crepa (1962)
Regia: Frank Wisbar; soggetto: Arturo Tofanelli; sceneggiatura: F. Wisbar, Giuseppe Mangione, Mino Guerrini, William Demby; fotografia: Cecilio Paniagua; scenografia: Enrique Alarcón; costumi: Demofilo Fidani; musica: Angelo Francesco Lavagnino; montaggio: Mario Serandrei; interpreti: Stewart Granger, Dorian Gray, Carlos Casaravilla, Ivo Garrani, Alfredo Mayo, Fausto Tozzi; origine: Italia/Spagna/RFT; produzione: Tempo Film, FICIT, Galatea, Midega Film, Monachia Zeyn Film; durata: 104'.
Frank Wisbar (già Wysbar), che anche nel cinema del Terzo Reich percorse l'inafferrabilità della Heimat, attivo poi nel cinema e nella televisione in America, ritornante nel dopoguerra nella Repubblica Federale Tedesca con un corpo di disorientanti film bellici, trova qui un detour italiano con sponda nella geniale Galatea e nel cinegiornalismo di Tofanelli, ed ecco apparire (fuori dagli schieramenti politicamente corretti) un film sulla guerra d'Algeria, che nel programma del festival incontrerà l'esperienza maghrebina, dantesca e ulissica, di Scialom. Wisbar realizza un film di sguardo libero e feroce, in cui il sacrificio bellico (a cominciare da quello della grande Dorian Gray) si rivela insostenibile. (S.M.G.)
ore 21
La rossa (1962)
Regia: Helmut Käutner; soggetto: dal romanzo di Alfred Andersch; sceneggiatura: H. Käutner, A. Andersch; fotografia: Otello Martelli; scenografia: Saverio D'Eugenio, Robert Stratil; costumi: Margot Schönberger; musica: Emilia Zanetti; montaggio: Klaus Dudenhöfer; interpreti: Ruth Leuwerick, Rossano Brazzi, Giorgio Albertazzi, Harry Meyen, Richard Münch, Gert Fröbe; origine: RFT/Italia; produzione: Realfilm GmbH & Co., Magic Film, Compagnia Cinematografica Champion; durata: 94'.
Altro cineasta tedesco da scoprire in tutta la sua opera (compreso il periodo americano), Käutner ha qui una tappa italiana, con uno dei film in cui Venezia è più acquaticamente dissolta. E la versione italiana, per quella perversa genialità delle pratiche di doppiaggio (ben segnalate dai riconoscimenti vocali di Enrico Lancia), rilancia la storia d'amore impossibile (più impossibile che in Resnais e Marker) tra un uomo e una donna, poiché la presenza altrove familiare della protagonista Ruth Leuwerick, mutandosi a oggetto fatale di passione, trova in Italia la voce di Anna Proclemer in dialogo col protagonista Giorgio Albertazzi, a sancire che tutti gli incontri tra voci, corpi, amori sono sempre sfuggenti. (S.M.G.)
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