La vita ricomincia
Soggetto: Aldo De Benedetti; sceneggiatura: A. De Benedetti, M. Mattòli, Steno; fotografia: Ubaldo Arata; montaggio: Fernando Tropea; scenografia: Gastone Medin; musica: Ezio Carabella; interpreti: Alida Valli, Fosco Giachetti, Eduardo De Filippo (voce Giulio Panicali), Carlo Romano, Aldo Silvani, Nando Bruno, Maurizio Ceselli, Maria Donati, Anna Haardt; produzione: Excelsa; origine: Italia, 1945; formato: 35mm, b/n; durata: 87'.
Copia 35mm da Cineteca Nazionale.
«Il titolo di questo nuovo film di Mario Mattòli, casualmente, si adatta anche alla ripresa, timida ma decisa, della produzione cinematografica italiana. La vita del cinema italiano ricomincia. E ricomincia senza telefoni bianchi. Perché questo pare sia il nuovo imperativo categorico che tutti i nostri registi in blocco si sono tacitamente impegnati di rispettare. Registi al di qua e al di là del film d'Arte, registi commerciali e decadenti, registi con stivaloni o semplicemente con completo da passeggio, lo hanno giurato. [...] Il regista Mattòli - che pure non fu mai uno dei principali avversari del telefono bianco, tanto che l'Alta Corte dell'ACCI pensò bene di accusarlo perfino di aver mantenuto in vita i telefoni bianchi con atti rilevanti - ha voluto addirittura andare
oltre. Per evitare di cadere in una di quelle vicende che si svolgono in ambiente topograficamente e temporalmente vago, di quelle vicende di comico-sentimentale-ungherese memoria, ha deciso di ambientare la prima sequenza del film tra le rovine della città di Cassino. Alla quale idea, il produttore Mosco ha subito aderito con entusiasmo perché oggi, dal punto di
vista di interesse commerciale, avere Cassino in un film è un atout internazionale. La città di Cassino, infatti, è sfortunatamente divenuta di fama mondiale ed è oggi la più tragica testimonianza di ciò a cui può arrivare la guerra.
Nessuna rovina è più "vera" e nello stesso tempo più "cinematografica" di quella di Cassino».
«Gli è che i problemi come quelli che Mattòli ha creduto di dover e poter affrontare sono problemi grossi e veri (ed oggi ad uno stato acutissimo) per essere avvicinati con la melodrammatica e grossolana superficialità, con la stucchevole mediocrità di schemi, col facile
cattivo gusto che contraddistinguono Mario Mattòli. [...] E non c'è lenocinio, non c'è dispiegamento di abilità, non c'è ripiego di sperimentata efficacia, non c'è visione di Cassino o di Napoli dirute, non c'è riferimento alla presente situazione italiana, alla borsa nera, ai nuovi ricchi, alle bische clandestine o alle prostitute modelli 1945, che valga a rendere credibili e viventi e attuali e fuori dal generico limbo delle cose false e mancate, una vicenda come quella che Mattòli e Aldo De Benedetti hanno confezionato. Sicché le tirate sulla umanità della giustizia, sull'amore e sulla fedeltà coniugale che segnano i nodi drammatici del film hanno tutta
l'aria dell'appiccicaticcio predicatorio e gli spettatori, invece di partecipare direttamente a quella vicenda che avrebbe dovuto ricostringerli nella quotidianità della vita, hanno trovato scampo
alla noia solo nelle facili risate che commentavano le uscite, non tutte davvero di buona lega, messe in bocca al personaggio comico (Eduardo De Filippo)».
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